Il Seminario di Firenze

I capolavori del Seminario Arcivescovile Maggiore di Firenze

Gurrieri - Scipioni - Serafini

Il Seminario Arcivescovile: cenni storici

di Michel Scipioni

Il complesso, in origine monastero delle Carmelitane di Santa Maria degli Angioli e quindi di Santa Maria Maddalena de’ Pazzi, nel 1628 fu ceduto ai Cistercensi e annesso alla chiesa di San Frediano in Cestello. In questo periodo la fabbrica fu oggetto di importanti lavori di rinnovamento su progetto di Gherardo e Pier Francesco Silvani. Dopo la soppressione del monastero (1782), l’arcivescovo Antonio Martini destinò il complesso (1784) a Seminario Arcivescovile (fondato nel 1712 e già ubicato in via de’ Cerretani).

Due ampi chiostri caratterizzano la struttura e ricordano i due ordini religiosi che l’hanno abitata: il primo, detto “della Maddalena”, vede al centro una statua di Antonio Montauti (1726) raffigurante la Santa in contemplazione del Crocifisso; il secondo, più ampio, detto di “San Bernardo”, è ornato dal marmoreo San Bernardo di Chiaravalle che calpesta il demonio di Giuseppe Piamontini (1702).

Tra i due chiostri, al pianterreno, si sviluppa la cappella Maggiore, che è elevata sopra la cripta, dove sono visibili il pozzo e il lavatoio usati da Santa Maria Maddalena de’ Pazzi, la cui cella, situata al primo piano, è anch’essa adibita a cappella.

Importanti interventi di restauro si resero necessari a seguito dei danni provocati dall’alluvione del novembre 1966 e si protrassero fino al 1978; ancora negli anni Ottanta furono restaurati vari spazi interni e le coperture del Seminario.

Negli anni Sessanta del Novecento il complesso ha ospitato il Museo Arcivescovile del Cestello, poi riallestito nel Museo Diocesano di Santo Stefano al Ponte.

Nei luoghi di Santa Maria Maddalena de' Pazzi

di Giovanni Serafini

Il complesso del Seminario prima del passaggio ai cistercensi (1628) era un monastero claustrale di monache carmelitane. Questa comunità fu testimone della vicenda di santità di santa Maria Maddalena dei Pazzi, al secolo Lucrezia Caterina (Firenze, 2 aprile 1566 - Firenze, 25 maggio 1607).

Monaca dal 1587, Maria Maddalena visse qui la sua esperienza di mistica contemplativa, costellata da estasi e miracoli, che – sulla scia delle testimonianze dirette e raccolte dal suo confessore Vincenzo Puccini – ne diffusero presto la fama in tutta Europa, ancor prima della beatificazione (1626) e poi dell’onore degli altari (1669). Per chi visita oggi il Seminario, la memoria di questa straordinaria figura protagonista della spiritualità fiorentina è onorata da due opere più tarde, che la ritraggono entrambe in deliquio davanti al crocifisso, ossia il bellissimo marmo del Montauti nel chiostro minore e la splendida tela ottocentesca del Franchi nella cappella che le è intitolata, che già fu la sua cella.

Qui permangono altri ambienti che, sopravvissuti alle trasformazioni dei cistercensi, restituiscono il ricordo della Mistica, come la cappella Maggiore, dove una lapide ricorda il luogo nel quale la monaca trovò sepoltura prima del trasferimento in Borgo Pinti e della santificazione, la cripta con il pozzo e i lavatoi che furono teatro di un celebre miracolo, quando, rapita in estasi, Maria Maddalena rimase con le mani nell’acqua congelata per alcuni giorni.

Un tesoro di arte sacra

di Giovanni Serafini

Gli ambienti del Seminario conservano una straordinaria collezione di opere d’arte e arredi sacri, in parte loro appartenenti ab origine e in parte giunti tra il XVIII e il XX secolo da altre realtà religiose scomparse.

Al tempo delle monache carmelitane Bernardino Poccetti realizzò il monumentale affresco del refettorio con Gesù servito dagli angeli dopo le tentazioni. I tratti di ariosità compositiva e franchezza pittorica che caratterizzano il grande murale ne attestano una esecuzione negli ultimi anni di attività dell’artista, intorno al 1610-1611.

Risalgono al tempo del monastero cistercense le due statue marmoree che troneggiano al centro dei due chiostri, ritraenti una san Bernardo di Chiaravalle (1702), e l’altra Santa Maria Maddalena dei Pazzi (1726), rispettivamente opere di Giuseppe Piamontini e Antonio Montauti.

Il più importante nucleo di opere è però costituito, come vedremo, dall’eredità della Compagnia di San Benedetto Bianco: un tesoro qui depositato di dipinti dei maggiori pittori della Firenze del Seicento. A queste opere se ne aggiungono altre che hanno trovato qui ricovero nel corso degli ultimi tre secoli, come la gigantesca e incompiuta tavola con la predica del Battista, sempre del Poccetti; la monumentale serie di otto tele con episodi della vita di Cristo di uno o più maestri fiorentini del XVII secolo; e poi ancora sinopie e frammenti di affreschi del Trecento, e opere del Quattro e del Cinquecento, tra le quali una pala centinata con Madonna col Bambino e i santi Michele e Ansano di un seguace toscano di Perugino.

La quadreria di San Benedetto Bianco

di Michel Scipioni

La confraternita fiorentina, fondata nel 1357 presso il monastero camaldolese di San Salvatore a Firenze nella zona dell’attuale piazza Tasso, venne presto trasferita nel convento di Santa Maria Novella (1383), dapprima nell’area dell’attuale Chiostro Grande e poi in alcuni spazi appositamente edificati su progetto di Giorgio Vasari (1570 circa) all’interno del “cimitero degli avelli”. Avendo nel frattempo ricevuto l’approvazione degli statuti dall’arcivescovo Antonino Pierozzi (celebre l’effigie che ne dipinge Jacopo Vignali), nel 1448 la Compagnia, pur intitolata al fondatore dell’ordine benedettino, si trovò sotto la protezione dei frati di Santa Maria Novella, che ne furono per secoli i direttori spirituali. In questa sede essa rimase sino alla costituzione di Firenze capitale d’Italia, quando il Comune, decise di allargare via degli Avelli abbattendo i locali di San Benedetto Bianco. La Compagnia tuttavia non si sciolse e nel 1859 si trasferì in un nuovo oratorio edificato nell’attuale via degli Orti Oricellari (oggi chiesa della Beata Elisabetta Vendramini), per poi spostarsi nel XX secolo presso la parrocchia di Santa Lucia sul Prato, dove si estinse. Le opere d’arte che i confratelli avevano portato con loro furono incamerate dalla Curia Arcivescovile e depositate presso il Seminario, dove ancora oggi sono visibili nel nuovo (2023) riordinamento curato da Maria Maugeri.

Tra la fine del Cinque e la metà del Settecento la sede di San Benedetto Bianco si arricchì di opere d’arte, grazie anche all’elevato numero di artisti che ne fecero parte: per citare i maggiori, Matteo Rosselli, Cristofano Allori, Jacopo Vignali, Carlo Dolci, il Volterrano e Vincenzo Dandini. Molti di loro dipinsero per propria devozione alcuni capolavori per la Compagnia, che vennero realizzati per assolvere funzioni specifiche all’interno della vita associativa e secondo preferenze iconografiche e stilistiche in ordine alla spiritualità di San Benedetto Bianco.

Il desiderio di abbellire la sede del Sodalizio spingeva anche molti confratelli a donare arredi e opere d’arte, come accadde per la serie di otto tele a soggetto biblico che il confratello Gabriello Zuti si era fatto dipingere per la propria abitazione nella seconda metà degli anni Quaranta del XVII secolo, e che lasciò a San Benedetto Bianco alla propria morte nel 1680. Si tratta di un ciclo unico, con capolavori di alcuni fra i maggiori artisti del Seicento fiorentino: Jacopo Vignali, Vincenzo Dandini, Mario Balassi, Lorenzo Lippi (in copertina) Simone Pignoni, Antonio Ruggieri, Giovanni Martinelli, i cui soggetti veterotestamentari alludevano ad eventi precisi della vita familiare dello Zuti, segnata dalla tragedia della peste del 1630.

La Biblioteca Storica

di Elena Gurrieri, Responsabile della Biblioteca-Archivio del Seminario

La Biblioteca Storica del Seminario Arcivescovile Maggiore di Firenze, oggi aperta al pubblico, comprende un patrimonio archivistico e bibliografico composto da 36 codici medievali catalogati, inseriti nella banca dati Codex visibile sul sito Cultura-Biblioteche della Regione Toscana, 89 incunaboli (presenti nel catalogo nazionale IGI) e circa 2.500 cinquecentine catalogate, tutti presenti in SBN Antico e EDIT16 dell’ICCU (Istituto Centrale del Catalogo Unico delle Biblioteche Italiane). Il Fondo Antico è composto da oltre 20.000 edizioni a stampa, cronologicamente collocabili dal XVI al XIX secolo. La Biblioteca nel suo complesso comprende circa 100.000 unità bibliografiche con una sezione di periodici moderni del settore teologico. Lo spettro disciplinare della Sezione Antica spazia, in realtà, dalla Teologia alla Letteratura europea, dalla Filosofia alla Storia e Geografia, Matematica, Astronomia, Scienze Naturali e Musica. Si tratta perciò di una vera e propria Biblioteca Universale di area Antica, ma pure Moderna e Contemporanea di ambito europeo e internazionale.

Si affianca alla Biblioteca un importante Archivio Storico, con documenti antichi e moderni che riguardano la storia della Diocesi di Firenze e provincia. La Biblioteca storicamente nasce il 21 dicembre 1783, con la donazione al Seminario del Fondo librario del soppresso Convento dei monaci cistercensi del Cestello da parte del Granduca di Toscana Pietro Leopoldo. Nel periodo più recente è stato catalogato il Fondo Benelli collocato nell’omonima Sala, una pregiata raccolta di 1200 opere di Storia dell’Arte, donate a suo tempo dal Cardinale Giovanni Benelli (1921-1982). La Biblioteca del Seminario Fiorentino si è fatta inoltre promotrice dell’edizione in fac-simile con apparati critici del celebre Codice Rustici (2015): da tale esperienza sono nati i volumi, editi da Olschki, di Cristina Acidini e Elena Gurrieri Firenze 1450 - Firenze oggi. I luoghi di Marco Rustici orafo del Rinascimento (2018) e, più di recente, la sua versione in inglese Florence through Renaissance eyes (2021).

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