Alessandro Grassi
Collocata da una ventina di anni nel Museo della Verna, dopo un breve passaggio nel convento di Saione, l’opera proviene dal convento di Sargiano, dove Mario Salmi (1911) la vide e la riconobbe nella tavola che – dai documenti pubblicati poc’anzi da Girolamo Mancini (1909, pp. 84-85; ripercorsi da Baldini 2010) – si sapeva allogata a Guillaume de Marcillat nell’ottobre 1524 dalle clarisse di Santa Margherita di Arezzo. La tavola era stata probabilmente trasferita a Sargiano dopo la soppressione postunitaria del monastero femminile (Amonaci 1997, p. 82): evento traumatico che comportò la perdita dell’elaborata carpenteria che inquadrava il dipinto, ovviamente dorata, e consistente in «pilastri, corniza, frizo et architrave», che aveva lavorato il legnaiuolo Bernardino di Matteo di Navarra su probabile disegno dello stesso Marcillat; similmente perduta – o, forse, ancora da rintracciare – è la predella in cui l’artista effigiò le scenette della Visitazione, della Natività e dell’Adorazione dei Magi, alternate alle figure dei santi Bonaventura, Ludovico (plausibilmente di Tolosa), Michelangelo, Girolamo, Maria Maddalena e Margherita.
Giorgio Vasari, che all’inizio degli anni Venti fu per qualche tempo nella bottega aretina del Marcillat, non menzionò quest’opera nella pur dettagliata Vita del francese, in quanto lasciò la città nel 1524 per tornarvi soltanto nel 1527 (Agosti 2020), quando essa era ormai collocata nella «clesia di sopra» del convento, ovvero nella clausura delle monache. A torto ritenne dunque che la prima prova a olio del Marcillat, esperto maestro vetraio che si era cimentato nella pittura ad affresco delle volte del duomo, fosse la Disputa sull’Immacolata Concezione del 1528-1529, oggi a Berlino (Ave Eva 2013, con bibl. precedente); mentre allo stato attuale delle conoscenze – mancando all’appello altri lavori precedenti, come le ante di un tabernacolo mariano dipinte per il duomo di Cortona nel 1518 (Mancini 1909, pp. 78-79) – la nostra Annunciazione, cominciata nel marzo 1525, costituisce la sua primizia a olio, forse in lieve anticipo sul Cristo eucaristico dello stendardo processionale della compagnia della Santissima Annunziata di Bibbiena, recentemente riemerso (Grassi 2020). Significativamente, Vasari (1568, ed. 1966-1987, V, p. 181) dava notizia invece di un’Annunciazione che le clarisse avrebbero allogato all’aretino Domenico Pecori, eseguita poi da Giovanni Antonio Lappoli. È possibile in effetti che il biografo fosse venuto a conoscenza di un accordo iniziale con l’anziano Pecori, al tempo in cui i lavori di ristrutturazione del monastero di Santa Margherita, avviati nel 1500, volgevano al termine (fra il 1518 e il 1519 Luca Signorelli aveva licenziato con largo ausilio della bottega e del nipote Francesco la pala dell’altar maggiore della chiesa pubblica, oggi nel Museo Statale d’Arte Antica e Moderna di Arezzo); ma per qualche ragione le cose andarono diversamente e la commessa della pala della chiesa interna fu trasferita al Marcillat, che, nonostante i numerosi fronti in cui era coinvolto, riusciva ad onorare gli impegni – e a un prezzo inferiore rispetto al più quotato Signorelli (30 ducati contro 70).
Quanto allo stile, l’opera rivela in modo esemplare la personalissima gamma di riferimenti del Marcillat: dall’esperienza romana dell’ultimo Raffello, filtrato dalla lente dei collaboratori delle Logge, alle assonanze con altri romanisti eterodossi, come Amico Aspertini (Contini 2013), sino alle rivisitazioni di lemmi tipici dei pittori locali quali Niccolò Soggi o lo stesso Signorelli (per la quinta architettonica con lastre screziate: Baldini 2010) e financo dei plasticatori robbiani, nella posa della Madonna (Grassi 2020): il tutto nella scala ingigantita e ipertrofica che Guillaume adottò come cifra inconfondibile con l’avvio del cantiere delle volte del duomo aretino, mantenendo però il gusto per gli accostamenti cromatici arditi e i cangiantismi di cui aveva già dato prova nella spettacolare serie delle vetrate delle bifore.
Pubblicazione della scheda:
Alessandro Grassi, in Divini Splendori. Tesori e percorsi francescani a Fiesole e La Verna, catalogo della mostra (Fiesole-La Verna 2022), Bibbiena 2022, pp. 88-91.
Bibliografia di riferimento:
Salmi 1911
M. Salmi, Una pittura ignorata diGuglielmo de Marcillat, in «L’arte», XIV, 1911, pp. 438-441
Mancini 1909
G. Mancini, Guglielmo de Marcillat insuperato pittore sul vetro, Firenze 1909
Baldini 2010
N. Baldini, L’Annunciazione di Guillaume de Marcillat nel museo della Verna: appunti documentari per la storia della pittura aretina, in «Studi francescani», CVII, 2010, 3/4, pp.563-574
Grassi 2020
A. Grassi, Un “lato” nuovo di Guillaume de Marcillat. Il Cristo eucaristico di Bibbiena e il rapporto con Giovanni Antonio Lappoli, in Cinquecento svelato 2020, pp.86-119
Cinquecento svelato 2020
Cinquecento svelato. Compagnie laicali, committenze e un Marcillat ritrovato in Casentino, a cura di M. Scipioni, Bibbiena 2020
Ave Eva 2013
Ave Eva. Ein wiederendtdecketes Hauuptwerk des Renaissancemeisters Guillaume de Marcillat, catalogo della mostra (Berlino 2013-2014) a cura di A. Galizzi Kroegel e R. Contini, Petersberg 2013
Contini 2013
R. Contini, Le tante omertà di unprediletto del Vaticano in Toscana, in Ave Eva 2013, pp. 118-125
Vasari 1568, ed. 1966-1987
G. Vasari, Le Vite de’ più eccellenti pittori scultori et architettori nelle redazioni del 1550 e 1568, testo a cura di R. Bettarini, commento secolare a cura di P. Barocchi, Firenze1966-1987, 6 voll.
Amonaci 1997
A.M. Amonaci, Conventi toscani dell’Osservanza francescana, Cinisello Balsamo 1997
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