Fiesole, convento di San Francesco
Alessandro Grassi
Non si conosce la provenienza originaria dell’opera, che risulta nel convento di Fiesole dal 1995 (scheda OA 09/00340666, di A. Rensi), mentre soltanto due anni avanti si trovava nella chiesa della Madonna a Livorno (scheda OA 09/00319665, di B. De Dominicis). Trattandosi di un soggetto non francescano, il dipinto non sembra avere una correlazione ab origine con i frati minori ed è probabile che sia stato loro donato o lasciato in eredità da qualche benefattore in epoca imprecisata, oppure pervenuto da una congregazione religiosa a seguito delle soppressioni. Tuttavia l’opera dovette godere di una certa fortuna, se da essa deriva – tanto per il formato ovale quanto per la composizione interna (pur con qualche cambiamento) – il San Filippo Neri collocato alla sinistra dell’altare dell’oratorio della compagnia – detta “buca” – di Sant’Antonio Abate a Firenze, a pendant di un altro ovale con Santa Maria Maddalena de’ Pazzi, entrambi ascrivibili alla fine del Settecento se non al principio del XIX secolo.
Il santo, nato a Firenze come la Pazzi ma vissuto prevalentemente a Roma dove fondò la congregazione dell’Oratorio, è ritratto davanti a un tavolinetto coperto di tessuto rosso, su cui poggiano un libro, un ramo di gigli virginali (suo attributo consueto) e un crocifisso bronzeo su croce e monte in ebano; vestito dell’abito nero, sopra il quale contrasta il colletto bianco, porta la sinistra al petto mentre il volto si scioglie in un’espressione intensa e sofferente. La mimica allude forse al prodigio della dilatazione del cuore di Filippo, sopraffatto dall’amore divino, che (come confermò l’autopsia) si era espanso sino a rompergli alcune costole; e, nel chiasmo costruito dal gioco delle mani – mostrando l’una il dorso, l’altra il palmo semiaperto – riecheggia i disegni e le soluzioni ideate dal Volterrano per le sue immagini di santi in pose estatiche o per le varie versioni del Cristo piagato (cfr. A. Grassi, in Fabbri-Grassi-Spinelli 2013, pp. 289-290, n. 101; pp. 328-329, n. 122), del quale ritornano perfino l’inclinazione e l’espressione del volto. Ancora al lessico volterranesco afferiscono dettagli quali il libro con la coperta di pelle e il laccio slegato (simile a quelli che compaiono in opere quali l’Omero e il Ritratto di suonatore di liuto con cantore moro dipinti a Giovan Carlo de’ Medici all’inizio del settimo decennio: cfr. rispettivamente R. Spinelli e A. Grassi, ivi, pp. 241-243, n. 74, e pp. 244-245, n. 76); ma altri elementi, come lo sfondo uniforme e poco frastagliato, e più in generale la tenuta pacata e controllata della pittura, differiscono dallo stile precipuo del Franceschini. Sarà pertanto opportuno orientarci verso Onorio Marinari, che – come attesta il Gabburri – si accostò per qualche tempo al Volterrano, guardando al quale «ingrandì la maniera» minuta e attenta al naturale appresa dal parente e maestro Carlo Dolci: frutto di tale frequentazione è, ad esempio, il San Girolamo in Santi Simone e Giuda a Firenze (Benassai 2011, pp. 108-109, n. 26), che ritengo elaborato dal Marinari su un dipinto d’egual soggetto licenziato dal Franceschini per il marchese Luca degli Albizi (ad oggi non riemerso ma testimoniato dal disegno preparatorio: R. Spinelli, in Fabbri-Grassi-Spinelli 2013, pp. 352-353, OP 28). In questa pala, molto lodata dal Cinelli nel 1677 e probabilmente eseguita allo scadere del decennio precedente, il volto barbuto e rugoso di Girolamo rivela un trattamento chiaroscurale ed epidermico assai prossimo a quello del San Filippo, e vi compare anche un teschio color ocra similmente lambito da un guizzo di luce. La tipologia della testa di Filippo – occhi come fessure, labbra ravvivate di rosso, grandi orecchie – trova poi utili confronti anche col san Domenico nella pala in Santa Liberata a Cerreto Guidi, del 1665 (Benassai 2011, p. 106, n. 24), in cui notiamo pure un ramo di gigli d’identica fattura e, sull’altare visto in scorcio, un crocifissino percorso da rapide lumeggiature. Lo stesso manufatto ritorna, visto dalla medesima angolazione tergale, nel bel Sant’Andrea Corsini in collezione privata (ivi, pp. 121-122, n. 40), che porta al petto la mano sinistra nell’identico gesto del San Filippo. Una datazione intorno alla metà del settimo decennio appare la più probabile, data anche la vicinanza di sentimento mesto che accomuna la veste del Neri, quasi una pozza nera con rari rialzi di grigio, a quella di san Mauro e del compagno nella pala della Badia fiorentina, firmata e datata 1664 (Spinelli 2021, pp. 213-215).
Pubblicazione della scheda:
Alessandro Grassi, in Divini Splendori. Tesori e percorsi francescani a Fiesole e La Verna, catalogo della mostra (Fiesole-La Verna 2022), Bibbiena 2022, n. 31, pp. 200-201
Bibliografia di riferimento:
Benassai 2011
S. Benassai, Onorio Marinari. Pittore nella Firenze degli ultimi Medici, Firenze 2011
Fabbri-Grassi-Spinelli 2013
M.C. Fabbri, A. Grassi, R. Spinelli, Volterrano. Baldassarre Franceschini (1611-1690), Firenze 2013
Spinelli 2021
R. Spinelli, Pittura, scultura e arti decorative nella chiesa della Badia fiorentina (secoli XVII-XXI), in Badia fiorentina 2021, pp. 197-245
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