Il "San Francesco" della Verna
Filippo Gheri
Spiace che, in extremis, non sia stato possibile portare in mostra la squisita anconetta oggi nella cappella interna del convento di San Francesco a Firenze (fig. 2). Essa era nel novero delle opere aggregate da Everett Fahy al corpus primitivo del Maestro di Santo Spirito (1976, p. 192), quello cioè che Federico Zeri aveva delineato, con infallibile sprezzatura, in una nota del suo primo saggio sugli “eccentrici fiorentini” (1962, p. 236, nota 2).
Le addizioni del Fahy rappresentano la tappa intermedia nella vicenda critica di tale gruppo pittorico, che le ricerche di Anna Padoa hanno poi connesso, in via definitiva, alla bottega dei fratelli Del Mazziere, Donnino ed Agnolo (Padoa Rizzo 1988, pp. 125-168). Nel secondo, il più giovane dei due, si riconosce universalmente il più dotato, sulla duplice scorta delle fonti – avare di menzioni, ma sibilline in questo senso –, e dei fogli mirabili riferitigli ab antiquo.
La piccola tavola di San Francesco (fig. 1) avrebbe allora ben rappresentato le buone doti di Agnolo, ché di lui si tratta, in un tempo corrispondente, con verosimiglianza, alla metà dell’ultimo decennio del Quattrocento. Incoraggiano a pensarlo le consonanze del “colmo” con la miglior prova dell’artista in quel giro d’anni: intendo la pala della Pinacoteca di Volterra, un apice di nervosa eleganza e sottigliezza di stesure che mostra il pittore ormai «attuned to the antiquarian, fanciful and irregular taste of the late Filippino» (E. Zappasodi, in Italian Masterpieces 2015, p. 148), per quanto, sotto la pelle guizzante di lustri, la corposità dei figuranti trattiene ancora qualcosa della gravitas che atteggia i protagonisti delle due pale più antiche del “trittico” in Santo Spirito a Firenze – la prima nella cappella di Bartolomeo Ubertini, che non dovrebbe seguire di molto la dotazione del sacello nel 1488, la seconda in quella dei Corbinelli dedicata a San Bartolomeo, sul 1490 (per entrambe: Capretti 1996a, pp. 243-244).
Tra le due “sacre conversazioni” in Santo Spirito ora evocate, pressoché in toto di Agnolo, e i lavori di quest’ultimo scalabili nella decade finale del secolo – oltre la pala di Volterra, varrà la pena di ricordare, per qualità, quella frammentaria studiata di recente da Emanuele Zappasodi (cit., pp. 142-149), la Trinità ancora una volta in Santo Spirito, e almeno i tondi londinesi della National Gallery e del Courtald –, si posiziona la Madonna col Bambino e i Santi Lucia e Pietro Martire dell’Accademia di Venezia, riconosciuta nella tavola destinata alla chiesa dello Spedale di Santa Lucia presso Porta San Frediano a Firenze, per la quale Donnino riceve dai Capitani del Bigallo un pagamento nell’ottobre del 1490 (Padoa Rizzo 1991, pp. 54-63).
Essa ci regala uno dei pochi appigli sicuri nel vuoto di date che affligge chi tenti di abbozzare una plausibile seriazione temporale dell’oeuvre dei Del Mazziere. Ma dispone di un pregio ancor maggiore: mai come in questo caso, difatti, sembra possibile circoscrivere le spettanze dei due fratelli. Invero la presenza di Agnolo vi appare assai contenuta, toccandogli la sola, finissima figura della martire siracusana, di cui non sfuggirà l’allure peruginesca della posa - esemplata su quella della Vergine nella Visione di San Bernardo per il Cestello fiorentino, compiuta dal maestro umbro nel 1489.
Il restante spetta a Donnino, che ad apertura degli anni novanta mostra di avere già fissato il repertorio fisiognomico, tra crediano e ghirlandaiesco, che ancora ritroveremo, appena un poco allentato, negli affreschi di Santa Chiara a Pistoia, per i quali è pagato nell’estate del 1499 e che a ragione la Padoa ritiene eseguiti senza l’intervento di Agnolo (1988, p. 144, 147, 149).
La pala veneziana offre inoltre il destro per assegnare a Donnino, in probabile autonomia, le fiesolane Stimmate di San Francesco esposte in questa circostanza, fin qui date al giro di Lorenzo di Credi (N. Baldini, in La chiesa e il convento 2015, pp. 172-173). Basterà, per convincersene, procedere a qualche raffronto tra le due tavole: e così la testa di fra’ Leone, quasi fanciullesca, si mostra perfettamente sovrapponibile, per chi idealmente la volti in controparte, a quella del Cristo bambino di Venezia; mentre la maschera imbambolata di Francesco, dalla bocca serrata in una piega amara, ripropone quella del San Pietro Martire lagunare, ma come stirata da un lifting. Le mani minute, malamente articolate, di quest’ultimo, passano poi in dote, con risultati appena più digeribili, a entrambi i protagonisti della pala francescana. Nulla ritroviamo in questi ultimi delle squisite elucubrazioni verrocchiesco-filippinesche di Agnolo, né alcuna traccia delle sue madide epidermidi. Mentre sub iudice, per il momento, sarà da lasciare l’eventualità di un intervento del fratello minore nell’incredibile paesaggio che incastona le figure, uno dei più vasti e complessi che sia dato di incontrare in una pala d’altare fiorentina dell’ultimo Quattrocento, costruito sulla direttrice che muovendo dal “sasso” della Verna si addentra in tralice verso il fondo in una sequenza di picchi vertiginosi. Lo definisce una pittura ora liquida ora a tocchi brevissimi, in effetti non dissimile, per tenuta, da quanto è dato di vedere in opere sicure di Agnolo.
Giustamente Nicoletta Baldini ha messo l’accento sulla figurazione non generica del monte della Verna (ivi, p. 173), posto alle spalle di Francesco e presentato nella sua nuda facies quattrocentesca. Versione ancor più spettacolare, “nordicizzata” verrebbe di dire, della prima immagine aderente alla forma reale di quel luogo santo rintracciabile a Firenze: quella cioè che fa da sfondo al San Francesco riceve le stimmate nel ciclo ghirlandaiesco della cappella Sassetti in Santa Trinita.
In generale, rispetto all’ancona ora veneziana, un tono più sciolto e “dolce” – conseguenza di una infatuazione per il Vannucci che culminerà nei murali pistoiesi del 1499 –, consiglia di far slittare le nostre Stimmate verso il finale del secolo, se non addirittura nei primi anni del Cinquecento: idea altresì avallata dalle ressemblances stringenti con le parti che toccano a Donnino – cioè i santi laterali – nella Madonna col Bambino e i santi Francesco e Antonio da Padova di San Michele a Montevettolini (Padoa Rizzo 1988, p. 160), dipinto da ritenere eseguito ben oltre la boa dell’anno 1500 in ragione dell’aspetto del contributo di Agnolo (nella Madonna), oramai lontano anni luce dallo standard di qualità delle prove di soltanto pochi anni avanti, e ad evidenza più appiattito sui modi del fratello.
Non v’è dubbio che la pala di Fiesole aggiunga un numero di buona qualità alla produzione più avanzata dell’officina familiare dei Del Mazziere, ancora largamente attiva per tutto il primo decennio del Cinquecento, e non solo in sedi provinciali o in contesti cittadini di secondo piano: lo dimostra il perduto tondo con i Santi Tommaso Apostolo e Tommaso di Aquino eseguito da Donnino per l’appartamento del gonfaloniere a vita Pier Soderini in Palazzo Vecchio, del quale resta testimonianza in un compenso corrisposto al pittore nel giugno del 1503 (Aquino 2007, p. 70).
Pubblicazione della scheda:
Filippo Gheri, in Divini Splendori. Tesori e percorsi francescani a Fiesole e La Verna, catalogo della mostra (Fiesole-La Verna 2022), Bibbiena 2022, n. 22, pp. 176-179
Bibliografia di riferimento:
Fahy 1976
E. Fahy, Some Followers of Domenico Ghirlandaio (Ph. D. Diss., Harvard University, 1968), New York-London 1976
Padoa Rizzo 1988
A. Padoa Rizzo, Agnolo di Donnino: nuovi documenti, le fonti e la possibile identificazione con il Maestro di Santo Spirito, in «Rivista d’Arte», XI, 1988, pp. 125-168
Italian Masterpieces 2015
Italian Masterpieces - 14th and 15th centuries, Galerie Sarti, Paris 2015
Capretti 1996a
E. Capretti, La pinacoteca sacra, in La chiesa e il convento 1996, pp. 239-300
Padoa Rizzo 1991
A. Padoa Rizzo, Indagini sulle botteghe di pittura del ‘400 in Toscana. Il Maestro di Santo Spirito e i Del Mazziere: una conferma, in «Erba d’Arno», 46, 1991, pp. 54-63
Aquino 2007
L. Aquino, I Ghirlandaio, Baccio d’Agnolo e le loro botteghe “in su la piazza di San Michele Berteldi”, in Invisibile agli occhi. Atti della giornata di studio in ricordo di Lisa Venturini (Firenze 2005), Firenze 2007, pp. 64-76
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