a Castelnuovo Berardenga (Siena)
Francesco Traversi
L’esteso ed elegante complesso della Certosa di San Pietro a Pontignano (situato nel Chianti senese, nel comune di Castelnuovo Berardenga), venne fondato nel 1343 – dietro approvazione del vescovo Donosdeo Malavolti – per volontà di Bindo di Falcone Petroni, che in seguito desiderò farsi seppellire in questo luogo: nella chiesa può ancora vedersi la sua lastra tombale. Egli diede incarico al certosino Amerigo, deputato del capitolo di Grenoble in Aquitania, di dar vita alla costruzione del suo progetto, un monastero capace di ospitare dodici monaci e tre conversi. Inoltre, seppure aveva disposto per il mantenimento della Certosa alcuni beni situati nei “comunelli” di Misciano e Cellole, stendendo il proprio testamento Bindo decise di lasciare tutti i suoi averi alla nuova comunità. Nel 1385 venne eretta attorno al monastero una cerchia di mura.
Assieme alla Certosa di Maggiano (eretta nel 1316 grazie ad una donazione del cardinale Riccardo Petroni, adesso adibita ad albergo di lusso) e a quella di Belriguardo (costruita nel 1348 e oggi azienda vinicola di proprietà della cantante Gianna Nannini) Pontignano rappresentava la rilevante presenza certosina in territorio senese nei secoli passati. L’attuale aspetto è figlio dei rifacimenti cinquecenteschi seguiti alla rovinosa Guerra di Siena (1554-1555), conclusisi nel 1607, quando il sito religioso venne riconsacrato dall’arcivescovo Camillo Borghesi. Le soppressioni leopoldine (1784) segnarono la fine della presenza certosina a Pontignano: il complesso passò quindi ai camaldolesi di Monte Celso prima di essere definitivamente soppresso e alienato con le leggi napoleoniche (1810), mentre la chiesa diventerà sede della parrocchia di San Martino a Cellole. L’antica Certosa nel 1959 venne acquistata dall’Università di Siena.
L’imponente struttura architettonica è composta di vari ambienti, fra cui emergono per vastità i tre suggestivi chiostri dall’aspetto cinquecentesco: il Chiostro grande – o “della clausura” – è fra questi il più ampio e presenta al centro del quadrante erboso una cisterna con scalinate a base circolare e due colonne che sorreggono una trabeazione decorata con volute in pietra, vi è poi quello “del pozzo” – detto anche “delle obbedienze” – di impianto simile al primo, ma più ridotto nelle dimensioni e con alcuni alberi nel prato, e infine quello “dei Conversi”, il più intimo e piccolo, cinto su due dei suoi lati dagli altri chiostri. Vi sono poi la chiesa rinascimentale (nella cui facciata è visibile l’originario filaretto trecentesco), l’alto campanile del 1588, il cappellone, l’ex capitolo (con un Compianto su Cristo morto di Cristoforo Rustici, 1578), la cappellina di Sant’Agnese eretta nel 1703 (affrescata da Apollonio Nasini nel 1721), la cucina e le cantine, disponendo inoltre di un bel giardino all’italiana.
L’intervento decorativo più significativo all’interno della Certosa è certamente quello operato da Bernardino Poccetti e dai suoi aiuti, che nell’ultimo decennio del Cinquecento affrescarono interamente le tre volte dell’unica navata della chiesa dei monaci (con episodi del Nuovo Testamento). Il ciclo dell’edificio sarà poi completato dal pittore lucchese Stefano Cassiani nel 1668, che sulle pareti affrescò le Storie di san Pietro e san Brunone. Significativi sono anche i lavori dell’intagliatore Domenico Atticciati, autore del coro ligneo (1593) e dell’altar maggiore (1579), entro cui sono ospitate due tele del Poccetti (Eterno benedicente e Colomba dello Spirito Santo con san Brunone e altri certosini).
Accedendo all’attiguo cappellone, decorato nel Settecento con affreschi e una tela dei Nasini, si incontra all’altar maggiore l’importante Crocifissione di Francesco Vanni (che vi venne collocata dai camaldolesi di Monte Celso). Il Refettorio è invece abbellito dall’Ultima Cena del Poccetti (1596) e di suoi altri affreschi staccati dal chiostro grande.