Riccardo Spinelli
Il dipinto raffigura il gesuita (non San Luigi dei francesi, come proposto recentemente: Morelli 2018, p. 268, fig. 50), nato a Castiglione delle Stiviere nel 1568 e morto a Roma nel 1591, beatificato nel 1605 da Paolo V e salito agli onori degli altari nel 1726, al tempo del pontificato diBenedetto XIII Orsini.
La tela vede il religioso, vestito di nero e con ampia cotta bianca, in ginocchio davanti a un altarolo adorare la croce che gli parla, dicendo «PRO TE MORIROR» (“Muoio per te”) – che ben si adatta al Signore spirante cui si rivolge Luigi, riferibile alla pietà e al sacrificio di Cristo –, contornato da cherubini volanti e contrapposto ad un cielo nuvoloso e variabile. Sul piano, oltre il crocifisso che si intuisce metallico per i bagliori di luce sulla superfice, sono un grande teschio allusivo alla morte prematura del giovane, un mazzo di bianchi gigli – attributo iconografico del santo, simbolo d’innocenza –, un cilicio: in basso, gettata a terra, una corona, emblematica della rinuncia fatta, in favore del fratello Rodolfo, del titolo nobiliare che gli spettava in quanto primogenito di Ferrante Gonzaga, marchese di Castiglione delle Stiviere.
Educato alla vita militare fin dalla nascita ma chiamato, ad appena sette anni, a consacrarsi al Signore, nel 1576, al tempo della sua permanenza a Firenze presso la corte del granduca Francesco I de’ Medici, fece voto di perpetua verginità nella basilica della Santissima Annunziata. Nel 1585, diciassettenne, entrò nel noviziato della Compagnia di Gesù a Roma dove ebbe tra i suoi insegnanti e come direttore spirituale Roberto Bellarmino; dedito alla cura e all’assistenza dei più bisognosi, cagionevole di salute e contratta la peste, spirò all’età di soli 23 anni.
Nel dipinto il giovane è ritratto di fronte alla croce, la mano destra al petto, gli occhi socchiusi, vestito d’un ampia camicia che nella sapiente articolazione chiaroscurale e nella qualità “berniniana” delle pieghe, condotte con una materia cremosa, ha un punto di vera eccellenza, peraltro peculiare del suo autore da riconoscere al pennello di Pietro Dandini (a fronte di un’attribuzione condivisa con il figlio Ottaviano: Morelli 2018, p. 268) cui i caratteri stilistici consentono di riferirgli l’opera senza incertezze.
Al maestro rimandano infatti i tratti delicati del volto del santo, caratterizzato dal naso dritto e regolare, la bocca piccola, gli occhi dal taglio allungato, le mani sottili, così come proprie del pittore sono la sensibilità nel rendere il fondale atmosferico, le teste dei cherubini, il bel rilievo dato ai candidi gigli e al teschio posto sul piano. Tali riscontri formali e di conduzione pittorica consentono d’orientare la datazione della tela tra lo scorcio del Seicento e i primi anni del XVIII secolo, crediamo prossima al tempo degli affreschi di villa Feroni a Bellavista, presso Borgo a Buggiano (1699; cfr. Bellesi 1991, p. 119) e a quelli della cupola della cappella maggiore nella chiesa di Santa Maria Maddalena de’ Pazzi in Borgo Pinti a Firenze, commissione voluta dal granduca Cosimo III e realizzata da Dandini tra il 1700 e il 1701 (cfr. Bellesi 2020, pp. 221-225, con bibliografia precedente). In questa, un vasto spazio aereo che vede l’ascesa al cielo della carmelitana presentata da Maria Vergine alla Trinità in un turbinio di figure, si rintraccia, in seconda fila, alle spalle dei santi Domenico, Francesco e Filippo Neri e a sinistra, guardando, di San Giuseppe, anche il giovane San Luigi Gonzaga con la mano al petto, il giglio candido, la bella cotta bianca, lo sguardo estatico a contemplare l’apoteosi della santa.
Pubblicazione della scheda:
Riccardo Spinelli, in Divini Splendori. Tesori e percorsi francescani a Fiesole e La Verna, catalogo della mostra (Fiesole-La Verna 2022), Bibbiena 2022, pp. 123-127
Bibliografia di riferimento:
Bellesi 1991
S.Bellesi, Una vita inedita di Pier Dandini, in «Rivista d’Arte», XLIII, quarta serie, vol. VII, 1991, pp. 89-188;
Bellesi 2020
S. Bellesi, Le commissioni artistiche dell’età tardomedicea al primo tempo dei Lorena, in SantaMaria Maddalena de’ Pazzi. La chiesa e il convento, a cura di C. Acidini, Firenze 2020, pp. 220-235
Morelli 2018
L. Morelli, La Verna crocevia di artisti tra il XVII e il XVIII secolo. Da Emanuele da Como a Gaetano Masoni, in Altro monte non ha più santo il mondo. Storia, architettura ed arte alla Verna nel tempo del Granducato mediceo (secoli XVI-XVIII), atti del convegno di studi (Convento della Verna, 2014) a cura di N. Baldini, Firenze 2018, pp. 208-298;
Laureatosi e specializzatosi con Mina Gregori all’Università di Firenze, borsista alla Fondazione “Roberto Longhi”, ha conseguito il Dottorato di Ricerca in Storia dell’Arte presso “la Sapienza” di Roma e una borda di studio a Villa “I Tatti".
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